Flora e fauna
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
p. 102
E allora, qual piacere sdraiarci al rezzo d'un annoso cerro, sopra un magnifico tappeto di verzura e accanto alle acque di cristallina fonte!
pp. 102-103
Era sull'imbrunire: in quell'ora le fanciulle e le servotte del paese scendevano alla fonte per attignere l'acqua della sera. Ognuna d'esse aveva la sua anfora alla romana, quale ritta in capo, o attraverso, o anche sui fianchi. Erano la maggior parte brune, però rubiconde, tozzute, e d'una vivacità impareggiabile. - I loro visi, comoche non artistici di lineamenti, avevano una dolce espressione di simpatia e d'amorevolezza. Tale ritraeva all'etiopo meglio che al caucaseo – con un paio d'occhi neri neri e irrequieti, con un labbro di cinabro, tumidetto e ardente, e coi pomelli delle gote tinti dal più bell'incarnato. Tal'altro, candido come neve, era ben profilato, e inspirava grazia e sentimento: avea gli occhi castani, i capelli biondi e ricciuti. - Ammiravasi in quelle gaie fanciulle tante altre vigorose bellezze, che solo si sviluppano sotto i cieli montanari, simili ai gigli della convalle. - V'è n'erano dalle forme tondeggianti – dai petti ricolmi – dai capelli corvini e voluminosi.
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Il sole non tardò a levarsi, e diffondendo una luce lietissima e un tepore assai piacevole – gli uccelli lo salutavano con una salve d'ilarità. A questi giocondi accordi s'univano quelli dei vignaiuoli, villanelli e villanelle che si facevano ogn'intorno nella campagna, con animosità e gaiezza singolare. Noi percorrevamo un sentieruzzo poco discosto dagli argini d'un fiume; di fronte avevamo il Castello che spiccava a cavalieri d'un erto colle su una roccia di granito – sembrava un gigante atterrato, che vibri un ultimo sguardo terribile sul suo inesorabile distruttore, il tempo. A destra e a mancina avevamo colline e convalli, coltivate a vite e a fruttaglie, da cui partivano i canti festevoli della vendemia.
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Paolo e Riccardo cavalcavano un po' avanti; io al fianco di Cirillo, il Precettore, che montava un ronzino, il quale sembrava basire dalla fame, e che certo lo snaturato del padrone sosteneva secondo le regole delle dodici tavole... Mi prese tanta pietà per la povera bestia, che ne dimandai conto al signor Maestro. << E' vostro sto cavaluzzo, gli chiesi. >> << Vi pare? mi rispose egli >> che un poveraccio di Maestro elementare ci possa aver il comodo di sostenere una bestia altra che la sua persona? L' è, sto ronzino del vice-parroco, di don Basilio: un cane d'avaro, che non ha l'uguale al mondo!
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Eravamo arrivati alle falde del poggio sul culmine del quale s'ergeva il romantico Castello. Il colle era ertissimo, scosceso, ingombro di macchioni di rovo e di virgulti; il salirvi a cavallo era cosa difficile fino alla sua meta e poi affatto impossibile di lì in sù.