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Flora e fauna

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo

Marcello Cossu

pp. 56-57
Narrasi infatti che vi sia sceso un fortunato pastore, al quale un giorno, gironzolando col suo gregge in quei pressi, sia apparso un giovinetto vestito di candidi vestimenti, dal viso splendente, raggiante come quello d'un angelo; - era veramente un angelo – e che dopo avergli parlato di volerlo far ricco, lo esortasse a tenergli dietro. Il pastore non si fece punto pregare e venne con lui, il quale lo menò fin sul culmine del dirupo, ove per via d'incantesimi sollevò un gran masso che chiudeva l'adito al sotterraneo, e in cui entrambi entrarono. Fatto l'oscuro androne, il giovinetto, o meglio l'angelo e il pastore riuscirono nella sala di cui si è detto, e ivi sostarono. Allora il pastorello tutto tremante guardò ove si fosse, e vide quel vecchio seduto a leggere sul libraccio nero, nella positura che lo descrivono, e di più, vide agli angoli della sala, monti di monete d'oro, d'argento e di rame, così luccicanti, che sembravano uscite poco prima dalla zecca. Pertanto l'angelo diè piglio ad una bisaccia, cui il pastorello aveva posto mente tor seco, e la colmò d'ogni serie di quelle monete; quindi la caricò addosso al povero uomo, stordito per la meraviglia e lo mandò pei fatti suoi in quello stesso sotterraneo ond'erano entrati. Si aggiunge che nel congedarlo, l'angelo raccomandasse forte al pastore di non dir verbo a chi che sia di questa sua avventura; ma che il pastore, non che tener per sacro il comandamento, abbia subito propalato l'accaduto, anzi abbia incitato alcuni suoi parenti ed amici a tentare l'impresa fortunosa di scendere nella sala del tesoro, esibendosi egli stesso per scorta. Fatto stette, giunti sul luogo, per quanto frugassero da per tutto, mai poterono scoprire l'accesso al sotterraneo - e bisogno deporne l'idea col crepacuore del disinganno. Il pastorello poi non stette molto, pagò ben cara la pena della sua disobbedienza; assalito da una grande enfiagione a tutto il corpo, morì in pochi giorni fra i più fieri dolori.

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p. 58
Giornata terza: - Una partita alla Caccia grossa. << Magnifica anche questa! - Comochè io confessi la mia modestissima abilità nel cacciare; pur mi sarà lieto vedere il Sardo alpigiano educato alle robuste abitudini della caccia, lavorare con quella disinvoltura e animosità sua propria. [...] Vedrò là il pacifico vignajuolo intento alla vendemia, e la gioconda villanella che s'inghirlanda il crine con dei pampini, e che canta festevolmente il canto dei suoi amori.

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p. 59
Noi avevamo traversata la pianura e comincievamo a mettere nel bosco. Questo era foltissimo e rigoglioso per secolari quercie, pei giganteschi alberi d'elci, faggi e roveri, e per le piante di corbezzolo e di ginepro. In alcuni luoghi riusciva inacessibile al passo umano, così era stipato di macchie di rovo, di sterpi e d'arbusti selvatichi. Le ombre della notte cupamente calando, lo rendevano ognora aspro e forte, come la selva selvaggia di Dante.

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pp. 60-61
I concetti poi della canzone erano mesti e sublimi. - Una tortorella geme tradita su una rupe, ove l'abbandonò il suo amante! Tu l'avresti, direi udita a gemere del suo infortunio... e narrarti con accenti melanconici la triste storia del suo amore... - Ella avea amato alla follia un ingrato!.... il quale, anziché corrisponderla con pari affetto e costanza, avea avuto il cuore di coprirla d'ignominia e abbandonarla.... Ella ne avea gemuto per lungo, e poiché avea considerato le sevizie della sua sorte, avea compreso esser tardi il pentimento e che pur bisognava riparare la vergogna... Avea lottato lungamente con cuore, e avea vinto! - Un feroce pensiero si era impossessato del suo spirito – il pensiero della vendetta! - Ed ella si era vendicata... Ella avea ucciso di propria mano l'infido amante. [...] Tu riscontravi nella gemente tortorella la sarda amante, che ama sospirosa, perchè abbandonata... e che ama eternamente poiché non pone mai tregua al suo gemito! - Nell'infedele sagrificato all'ingiuria recata, ricordavi l'animoso petto della sarda donna che fa pagar ben cara l'offesa che mai venga fatta al suo onore.

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pp. 61-62
In questo mentre comparve fra le cime degli alberi la simpatica luna. Ella era giunta al suo pieno e ammantava mollemente la natura con quel suo bel candore. Sembrava la mistica Sposa, che circondata d'amiche vada a incontrare la Sposo... O la Regina, che corteggiata di dame, sorta a passeggiare su pei boschi e pie luoghi solitari...... Rimasi commosso dal maestoso spettacolo ed esclamai in questi non miei versi: Di nostra terra amabile seguace; Candida lampa della notte bruna, Oh quanto il mite tuo chiaror ne piace! Inostri cavalli come compresi del grande benefizio che ci recava la luna, nitrirono di gioia e si diedero a galoppare con maggior vigoria e prestezza. Tant'è in meno d'un quarto d'ora ci misero del tutto fuori dal bosco. Allor fu la paura un poco queta, Che nel lago del cor m'era durata.

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