Un nuovo volume si aggiunge alla collana Testi e Documenti del Centro di Studi Filologici Sardi. Si tratta del Condaghe di San Gavino a cura di Giuseppe Meloni, docente di Storia Medievale e attualmente Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Sassari.
L'opera si propone di riprendere e approfondire lo studio sul condaghe già pubblicato in una prima versione nei volumi Dal mondo antico all'età contemporanea. Studi in onore di Manlio Brigaglia offerti dal Dipartimento di Storia dell'Università di Sassari, (2001), e Il regno di Torres. Atti di "Spazio e Suono", 2, a cura di Giuseppe Piras (2002).
Come sottolinea lo stesso autore nella Premessa "in questo studio viene rivalutata e riproposta la matrice medievale dei fatti leggendari così come quella degli avvenimenti storici narrati. Si propone una datazione sull'origine della tradizione che non appare azzardato far risalire quanto meno al periodo di passaggio tra il XIII e il XIV secolo, quando sono ancora vivi consistenti elementi culturali e politici di area italiana e si affacciano i primi di matrice iberica, catalano-aragonese".
Il testo del Condaghe ci è noto attraverso una trascrizione redatta dallo scrittore sassarese Francesco Rocca (vissuto tra il XVI e il XVII secolo) stampata a Sassari nel 1620 e conservata presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari. Il Rocca segnala altre due edizioni a stampa: quelle di Venezia, del 1497, e di Roma, del 1547.
Il testo in questione, pur essendo definito condaghe, non è un registro amministrativo giuridico, come ci si potrebbe aspettare, infatti sottolinea Giuseppe Meloni "per condaghe, termine che si alterna spesso a fundaghe, a partire dal secolo XV fino a tutto il XVII si intendevano anche quelle opere che facevano riferimento alla storia patria, alle origini di quel mondo giudicale la cui conoscenza permetteva di ricercare antiche radici di nazionalità". Scritto in lingua logudorese, colta ma con influssi della parlata popolare, non è esente da italianismi, dovuti all'influenza linguistica dei liguri e dei toscani.
I riferimenti storici e linguistici, gli elementi leggendari, di cui è ricca l'opera sono il punto di partenza della ricostruzione di una tradizione legata alla scoperta dei corpi dei martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario. L'opera ha perciò valore storico per le innumerevoli e curiose notizie sull'origine dell'istituzione giudicale (la nascita del giudicato di Torres, la vita del giudice Comita, la sua malattia, la lebbra, che lo legò al culto di San Gavino) che se l'autore da un lato invita alla prudenza prima di accettare come storicamente certe, offre numerosi spunti di riflessione sulla possibile attendibilità di questa importantissima fonte, sottolineando la necessità di non trascurare i materiali che abbiamo a disposizione per la ricostruzione della nostra storia, riportando, a tal fine, una frase di Giulio Paulis (a proposito del fatto che M. L. Wagner avesse trascurato materiali linguistici reperibili nel Codex Diplomaticus Sardiniae di P. Tola) "non possono essere accantonati del tutto, senza correre il pericolo di buttar via, come si usa dire, insieme all'acqua sporca anche il bambino".
Gisa Dessì