Non è stata certamente un’iniziativa agevole, per Maria Teresa Laneri, quella di curare, per la collana Scrittori Sardi
(Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC), l’edizione critica di questo
manoscritto. Specie se si considera che il peso delle ambiguità, delle
errate tradizioni, dei misteri che l’opera si porta dietro, è stato
affrontato senza reticenze, contando esclusivamente sulle armi della
ricerca, dell’analisi comparativa, e, perché no, dell’elasticità che
solo un approccio filologico accorto e non invasivo può consentire.
“[…] il fine dell’edizione non è quello di far parlare Proto Arca come
ci saremmo dovuti aspettare in ossequio a pura astrazione teorica”,
afferma la Laneri; pertanto, se non nelle parti manifestamente corrotte
o viziate, viene proposto, nonostante la singolarità di talune
espressioni, un testo latino immune da manomissioni non filologicamente
certe, anche quando più ardua diventa la ricostruzione dell’usus scribendi
dell’autore e più oscura la genuinità delle forme. Si è preferito,
cioè, il criterio del “minimo intervento” sul testo tramandato, dando
conto nello stesso tempo dei non interventi di edizione, non meno degli
interventi, nell’imponente corredo critico. La versione italiana, pur
ricercando la conformità al dettato originale, ha dovuto, per potersi
emendare della disomogeneità e della modestia del portato lessicale del
latino di Proto Arca, eludere sovente la traduzione letterale e far
piuttosto “ricorso a una variatio e a una ricerca sinonimica quasi costanti e, talvolta, all’esplicitazione”.
Il fruitore dell’opera è comunque tenuto all’approccio critico, guidato
in questo efficacemente dalla curatrice sia nella robusta Introduzione, sia nell’apparato critico a piè di pagina e nella sezione delle Note
che accompagnano il testo. Il costante confronto con le fonti e la
rigorosa analisi del manoscritto non risolvono, ma, al contrario,
evidenziano le incongruenze storico-filologiche del De bello et interitu marchionis Oristanei; le ombre permangono e molte ipotesi restano semplicemente tali.
Chi era Proto Arca Sardo? Non lo sappiamo (ancora?). “Questi i soli
dati ragionevolmente deducibili: a) probabile nazionalità sarda; b)
stato ecclesiastico; c) lingua colta comunemente parlata spagnolo; d)
discreta pratica con il latino; e) scarsa conoscenza dell’argomento
dell’opera”. Maria Teresa Laneri ci dice piuttosto, documenti alla
mano, chi plausibilmente non era.
Non era il gesuita bittese Giovanni Arca, il cui Naturalis et moralis historia de regno Sardiniae riporta nel VI libro, nonostante continui e talvolta infelici tentativi di affrancamento, una banale riscrittura del De bello.
Inoltre non era semplicemente uno spregiudicato e consapevole
manipolatore delle fonti, “[…] non si tratta, in questo caso, di una
forma di disinvoltura nell’approccio al dato documentale né di mera cupiditas coniectandi,
ma di un fenomeno assai più complesso, alla cui origine si colloca
un’oggettiva incompatibilità di fondo fra l’obiettivo che si pone
l’autore – quello cioè d’apologizzare la figura di Leonardo de Alagòn –
e la posizione ideologica delle sue fonti, tutte di matrice
filoaragonese”. Ovvero le fonti del potere, lo stesso potere che
determinò nel 1478, con la battaglia di Macomer e la conseguente
sconfitta del “principe sardo”, la fine dell’ultima testimonianza
dell’antica indipendenza. Proto Arca ha selezionato il materiale
storico, epurato, interpolato, integrato, spesso stravolto; sembra
ragionevole però, avverte la Laneri, considerare che la faziosità
dell’autore fosse, per così dire, complementare, “sotto il profilo
ideologico e sentimentale, all’orizzonte d’attesa dei Sardi”, all’ansia
di conoscenza della “loro” verità che egli immaginava pervadere
l’intera isola. Sembra ragionevole non escludere che, in buona fede,
Proto Arca possa avere storicizzato, confortato dalle fonti, talune
tradizioni orali sulle gesta di don Leonardo o semplicemente essere
stato tradito da superficialità e imperizia storico-linguistica.
Sembra, cioè, “più ragionevole usare una certa cautela, prima che un
giudizio troppo netto, oltre tutto formulato sulla sola base dei nudi
dati testuali, finisca col rappresentare solo il frutto di un nostro
errore di prospettiva”.