A distanza di dodici anni dall’edizione critica delle ultime tre raccolte delle Poesias d’una Bida di Predu Mura, Nicola Tanda, con la collaborazione di Raffaella Lai, propone, per la collana Scrittori Sardi, la pubblicazione integrale dei testi che lo stesso poeta di Isili aveva radunato in una sorta di percorso stilistico a ritroso.
Sul finire delle pagine introduttive, Tanda utilizza queste parole di Garcia Lorca per riassumere la concezione contemporanea della poesia: “l’uomo si avvicina per mezzo della poesia con rapidità al punto a cui il filosofo e il matematico volgono le spalle in silenzio”. Ma nel caso di Pietro Mura l’elenco dei silenti potrebbe allargarsi, per includere coloro i quali, per inerzia dogmatica, non hanno preso coscienza che il sistema letterario era cambiato in Sardegna e nel mondo, perché era il mondo stesso ad essere cambiato.
“Quando cambia infatti la visione delle cose del mondo, cioè il significato, cambia anche il modo di comunicarla, cambia cioè insieme al significato anche il significante”. Eppure quella del Novecento è stata una lezione che “non abbiamo saputo né voluto capire, poiché avevamo libri di testo di letteratura italiana, universitari e scolastici, viziati dalla ideologia che apriva tutte le porte e che spiegava tutto, proprio tutto”. Un secolo di poesia e di letteratura in genere che alla massificazione e alla monocultura industriale ha contrapposto le istanze del plurilinguismo e del pluriculturalismo, sperimentando forme espressive che, assolutamente aperte ai dialetti e alle lingue altre, hanno favorito il formarsi delle consapevolezze identitarie.
Un cambiamento questo che, nell’era di internet, impone di affrontare il problema, oggi più che mai dibattuto, del rapporto fra locale e globale, un cambiamento al centro del quale Nicola Tanda colloca, in Sardegna, un artigiano del rame diventato artigiano di versi. La sua opera, emancipatasi dall’eredità di una tradizione scritta e orale ormai convenzionale e stilisticamente indefinita, ostaggio come era delle “tre corone (Carducci, Pascoli, D’Annunzio)” incarnate, in italiano, da Sebastiano Satta e, in sardo, da Peppino Mereu e Antioco Casula, ha rappresentato dalla fine degli anni Cinquanta l’avanguardia della rinascita poetica in lingua sarda, di una lirica finalmente restituita ad “un percorso certamente più congeniale al vecchio idioma”, eppure permeabile agli itinerari più avvincenti della poesia contemporanea.
“Fippo operàiu ‘e luche soliana / commo so’ oscuru artisanu de versos / currende un’odissea ‘e rimas nobas / chi mi torret su sonu ‘e sas lapias / ramenosas campanas / brundas timballas e concas / e sartàghines grecanas”..
Eleonora Frongia