È su un quadernetto di cartone bianco che Sebastiano Satta –poeta, avvocato, giornalista– annotò i lemmi di un suo personale zibaldone. Catalogo arricchito e reso singolare da una serie di disegnetti schizzati accanto alle parole. A questa privata raccolta Sebastiano Satta volle dare un titolo, Leggendo ed annotando, recentemente ripreso e pubblicato dalla Cuec / Centro di Studi Filologici Sardi, con l’edizione critica di Simona Pilia. Autrice anche di un’interessante introduzione, la curatrice conduce il lettore tra le carte, gli appunti, i versi sciolti e le note biografiche di Sebastiano Satta e anche nel clima culturale del suo tempo. Nato a Nuoro nel 1867, Satta studiò fino al ginnasio nella città natale per poi trasferirsi, sino alla laurea in Giurisprudenza, a Sassari. Fu sui banchi del Liceo “Azuni” che cominciò a leggere Giosuè Carducci, senza immaginare certo che qualche anno più tardi, durante il servizio militare a Bologna, avrebbe incontrato il poeta e maestro. Laureatosi nel 1894, tornò a Nuoro dove visse ed esercitò la professione forense. Uomo di legge e di pensiero, in contatto con le teste fini della sua epoca e amico degli artisti. Come, per fare qualche nome, Franceso Ciusa, che gli disegnò la copertina dei Canti barbaricini, e Ballero, Deffenu, Dessanai. Bustianu, come lo chiamava Francesco Cucca, fu tormentato nei suoi ultimi anni dai postumi di un ictus e morì nel 1914.
Leggendo ed annotando consta di circa 70 pagine e 800 parole elencate in un ordine alfabetico che si arresta alla lettera F. Se ne inventariò altre, avverte Simona Pilia, sono andate perse. Insomma il poeta stivava ma-teria e stoffa per la sua poesia e per la prosa di numerosi articoli. In questo ricorda “il sacchettino delle parole” che il padre di Paolo Fresu consegna al figlio nel film Sonos ‘e memoria di Gianfranco Cabiddu. Compilato probabilmente tra il 1898 e il 1910, il quadernetto è stato rilegato dall’autore con filo bianco e nero e contiene anche liriche, ritagli di giornali, citazioni, proverbi e adagi popolari saporiti come, ad esempio, “a can che lecca cenere non gli fidar farina”. Per scrivere, Satta preferiva il lapis, pastelli viola e inchiostro nero, rosso, verde. La prima parola è ‘boglio’ (panetto di cioccolata), l’ultima felceta (luogo pieno di felci) e molti dei vocaboli sono accompagnati da un disegno. Abitudine, questa di maneggiar la matita, che l’avvocato Satta si portava dietro dalle aule del Tribunale. Se si annoiava durante le udienze, racconta Ciriaco Offeddu, faceva ritrattini di giudici, testimoni e colleghi, con l’aggiunta di due sapide righe sull’inconsapevole soggetto. Lo stesso divertimento egli pose certo nella scelta di una lista di parole per la quale attingeva ai dizionari autorizzati ma anche alla vita quo-tidiana. E dunque, alla C del glossario ecco un ‘carruccio’ per i bambini ovverosia un girello con l’infante al centro, un insetto ‘centogambe’, i portici di un ‘chiostro’, il ‘cordiglio’ dei frati, la ‘crocchia’ di capelli e l’albero della ‘cuccagna’, ‘cuccume’ e ‘cucchiaini’. Ma ci sono significati più complicati, subito chiariti dal lapis veloce: ‘dizzecolare’ (nettar la lana dalle zecche), ‘cacciatoja’ (arnese del falegname per piantare i chiodi), ‘ciniglia’ (tessuto di seta a forma di bruco), per tacer di ‘cocca’ e ‘cocchiume’. Grande attenzione Sebastiano Satta mette nella annotazione dei colori, de-scrivendo le tinte con gusto letterario. Suona musicale l’allitterazione di ‘broccatello’, ‘buccia’, ‘cagnazzo’, ‘ceciato’, ‘celestino’, ‘chiara’, ‘cipollino’, ‘croceo’.
Anche l’abbigliamento antico è illustrato con precisione filologica. Riaffiorano, come dalle tavole di un trattato di storia del costume, ‘borzacchini’ e ‘canutiglie’, ovvero stivaletti e ricami dorati e il ‘calamistro’ per arricciare i capelli. Tutti i termini, divisi per genere e categorie, sono raggrup-pati in un glossario in appendice curato da Simona Serra.
Alessandra Menesini