E invero, la cerimonia ha un significato epico: poiché la bocca che morde il fegato ancora caldo di una vittima non conoscerà mai il gemito della viltà. Così, tante volte, quando ho piegato il viso sulla voragine sanguinante della vita, ho ricordato il curioso rito degli antichissimi avi». Parole scritte dal premio Nobel Grazia Deledda nella novella Ferro e fuoco, riportate in calce alla dedica «A Nuoro, la mia città, la mia forza» dal filologo nuorese Dino Manca, curatore dell'edizione critica della novella Il ritorno del figlio, da poco nelle librerie (Centro di studi filologici sardi/Cuec, 16 euro).
Un lavoro sistematico e rigoroso condotto su una novella che ci è stata trasmessa attraverso un manoscritto autografo, conservato nella Sala Manoscritti della Biblioteca Universitaria di Sassari, e diversi testimoni a stampa.
Per buona parte della produzione deleddiana uno studio della genetica del testo fino a oggi non c'è stato: «Eppure - spiega Manca - una ricostruzione delle storie redazionali, a partire dalla gestazione dell'opera, aiuta a capire meglio il rapporto intercorso fra la scrittrice e la sua opera. Nel caso de Il ritorno del figlio scandagliare la documentazione manoscritta di una novella precedente all'edizione a stampa ha consentito di entrare nel work in progress del testo: artigianato compositivo, opera d'arte». Quel Laboratorio della novella per il quale Manca ha ricevuto lo scorso anno una segnalazione speciale della giuria nella sezione Studi Deleddiani del Premio letterario nazionale Grazia Deledda. Ma cosa pensa lo studioso di alcuni giudizi della critica sulle novelle deleddiane: «mediocrità esasperante... monotonia regionale» (Serra); «ai fini di un giudizio sulla sua arte, possono essere trascurate senza danno» (Sapegno); «bassa e variopinta popolarità» (De Michelis); «infelice genere» (Dolfi)? «Come risposta dovrebbe bastare la "bocca che morde il fegato ancora caldo...". Intendo dire che una rilettura dell'opera fatta con strumentazione critica e filologica aggiornata, concependo la letteratura come sistema integrato della comunicazione, che tenga conto non solo della produzione ma anche della circolazione del testo in contesti connotati dal plurilinguismo - come quello sardo - consentirebbe di comprendere meglio l'universo simbolico e antropologico del messaggio deleddiano.
Si va sempre più affermando un orientamento critico che nell'ottica della microstoria tende a superare la concezione unificante della letteratura di De Sanctis, promuovendo le varie letterature regionali ».
D'altra parte, questa scrittrice "mediocre" per entrare nel novero dei Nobel qualche operazione letteraria di non poco conto l'avrà pure tentata. Può darsi che almeno Attilio Momigliano - forse - lo avesse intravisto e capito: per lui la Deledda era seconda solo a Manzoni.
Gianbernardo Piroddi