Sono molte e assai fondate le ragioni che inducono a considerare di grande interesse l'opera più recente di Giuseppe Marci, docente di Filologia italiana all'Università di Cagliari e studioso lucido e appassionato di letteratura sarda (alla quale ha dedicato, per esempio, Narrativa sarda del Novecento, Romanzieri sardi contemporanei, Scrivere al confine e - a conferma di una specifica e meritoria attenzione critica - Sergio Atzeni: a lonely man). Come del resto rileva esplicitamente il sottotitolo, anche In presenza di tutte le lingue del mondo (Cuec, Collana Manuali) punta i riflettori sulla letteratura sarda e più precisamente - come dice lo stesso autore - propone il frutto di un lavoro di molti anni.
Dei manuali di livello, anche In presenza di tutte le lingue del mondo è generosamente dotato di indici preziosi (curati con scrupoloso rigore da Eleonora Frongia e Simona Pilia, giustamente ringraziate per questo da Giuseppe Marci). Dopo un'illuminante Cronologia (dal IV secolo, con le Epistole di Eusebio, alla fine dell'Ottocento, con La bella di Cabras di Enrico Costa), l'analisi e le riflessioni sulla narrativa del Novecento: dalla prima Grazia Deledda a una significativa pattuglia di autori di opere pubblicate l'anno scorso: Milena Agus (Mentre dorme il pescecane), Giulio Angioni (Alba dei giorni bui), Anna Castellino (In su celu siat), Mariangela Dui (Meledda), Salvatore Niffoi (La leggenda di Redenta Tiria), Enrico Pili (La quinta S), Anna Paola e Antonella Rita Oggiano (Chicchi di grano) e Grazia Maria Poddighe (La regina dei Shardana). Seguono quindi l'indice dei nomi e quelli delle opere e dei periodici (con una digressione certamente banale, dall'elenco degli scrittori si può trarre una ludica curiosità: il primo posto in classifica spetta a Francesco Alziator con quaranta citazioni. Seguono, al secondo posto ex aequo, Manlio Brigaglia e Pasquale Tola nominati 45 volte. Al quarto è Sergio Atzeni con 36 citazioni, al quinto Grazia Deledda ed Egidio Pilia con 33).
Un libro come questo, in particolare così denso di descrizioni, analisi critiche e significativi richiami, non consente ovviamente velleitari tentativi di sintesi. Il rinvio - meglio: un convinto invito - è alla lettura davvero molto interessante per la robusta sostanza proposta con stile piacevolmente scorrevole (non a caso all'attività di studio Giuseppe Marci affianca brillantemente quella dell'apprezzato narratore). Al massimo si può azzardare il riferimento ad una chiave di lettura dell'importante opera (non la sola, ma comunque di grande suggestione intellettuale): la consapevole, documentata esaltazione della capacità dei Sardi a scrivere - e scrivere anche molto bene - nella propria e nella altrui lingua.
Gianni Filippini