C’è un vate nascosto, un ispiratore illustre e raffinato, nella vocazione di Giuseppe Marci alla storia letteraria: "Quando ho iniziato ad occuparmi di letteratura l’ho fatto anche per l’impulso di una persona che nella mia formazione ha avuto un ruolo importante: Umberto Cardia. Lui sapeva molte cose sulla cultura sarda, la storia della Sardegna e della scrittura", dice il professore.
Il grande uomo politico protagonista di una felice stagione nel cammino della nostra autonomia ha avuto il merito di liberare dai pregiudizi il giovane Marci. Come? È lo stesso professore a raccontarlo: "Mi diceva: c’è campo aperto per molti studiosi e per più di una generazione. Questo agli inizi degli anni Settanta, quando nella mente dei più la scrittura dei sardi era considerata poca cosa e per giunta ridotta a due-tre autori, quelli dei quali non potevi dire che non ci fossero stati".
Del resto, si chiede Marci, quali altri scrittori si potevano elencare quando ancora Dessì non aveva pubblicato Paese d’ombre e Satta Il giorno del giudizio? E si risponde: "Cardia mi spiegava: abbiamo un patrimonio non sterminato ma pur sempre grande, se lo riferiamo al numero degli abitanti, alla loro condizione culturale e prima ancora alla loro drammatica situazione esistenziale".
Marci cita il trattato di Andrea Manca dell’Arca (Agricoltura di Sardegna, 1780): "Lo considero un caposaldo, anche se mi è stato detto che dal punto di vista tecnico ne sapevano di più altri. Ma lui sapeva dell’uomo. Nel libro di Andrea Manca abbiamo la visione di un contadino che possiamo immaginare malato di malaria, debilitato, scarsamente alimentato, con un piccone in mano: di fronte a lui, terre sterminate da dissodare con quell’unico strumento. Questo contadino l’ho sempre avuto presente e mi sono calato nella parte, come fanno gli attori. Ho accompagnato allo studio un’osservazione degli uomini e delle campagne. Ho provato cosa vuol dire seminare il grano avendo un terreno duro e arido e come unico strumento un piccone".
Più in generale, il professore conclude: "Ho cercato di ricostruirmi l’immagine di una Sardegna dei sardi, mettendo in primo piano il soggetto principale: l’uomo che soffre e gioisce. L’ho fatto per questi 24.000 chilometri quadrati della mia terra. Ho provato a pensare, a studiare e a mettere in relazione le opere letterarie con la vita: le visioni del mondo, le concezioni, i sentimenti, i canti, i cavalli, il mare, le montagne".
Paolo Pillonca