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Proto Arca Sardo senza (pre)giudizi
Chi era Proto Arca Sardo, colui che è concordemente considerato l’autore del De bello et interitu marchionis Oristanei, opera latina che narra le imprese del marchese di Oristano don Leonardo de Alagòn? Quanto fu consapevole, in questo scritto, la manipolazione del dato documentale che, contrariamente a ciò che l’autore dichiara nella praefatio all’opera (“nihil enim sum allaturus quod scriptis quondam non fuerit demandatum”), si rivela essere fondante dell’elaborazione narrativa? E ancora quanto del codex unicus custodito nella Biblioteca Universitaria del capoluogo sardo, “apografo copiato a Cagliari tra il gennaio e il febbraio del 1592 da un esemplare perduto, anch’esso apografo, già portatore di un notevole numero di mende”, è ascrivibile alle consuetudini dell’autore e del suo tempo, e quanto, invece, alla tradizione del testo?

Non è stata certamente un’iniziativa agevole, per Maria Teresa Laneri, quella di curare, per la collana Scrittori Sardi (Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC), l’edizione critica di questo manoscritto. Specie se si considera che il peso delle ambiguità, delle errate tradizioni, dei misteri che l’opera si porta dietro, è stato affrontato senza reticenze, contando esclusivamente sulle armi della ricerca, dell’analisi comparativa, e, perché no, dell’elasticità che solo un approccio filologico accorto e non invasivo può consentire.
“[…] il fine dell’edizione non è quello di far parlare Proto Arca come ci saremmo dovuti aspettare in ossequio a pura astrazione teorica”, afferma la Laneri; pertanto, se non nelle parti manifestamente corrotte o viziate, viene proposto, nonostante la singolarità di talune espressioni, un testo latino immune da manomissioni non filologicamente certe, anche quando più ardua diventa la ricostruzione dell’usus scribendi dell’autore e più oscura la genuinità delle forme. Si è preferito, cioè, il criterio del “minimo intervento” sul testo tramandato, dando conto nello stesso tempo dei non interventi di edizione, non meno degli interventi, nell’imponente corredo critico. La versione italiana, pur ricercando la conformità al dettato originale, ha dovuto, per potersi emendare della disomogeneità e della modestia del portato lessicale del latino di Proto Arca, eludere sovente la traduzione letterale e far piuttosto “ricorso a una variatio e a una ricerca sinonimica quasi costanti e, talvolta, all’esplicitazione”.
Il fruitore dell’opera è comunque tenuto all’approccio critico, guidato in questo efficacemente dalla curatrice sia nella robusta Introduzione, sia nell’apparato critico a piè di pagina e nella sezione delle Note che accompagnano il testo. Il costante confronto con le fonti e la rigorosa analisi del manoscritto non risolvono, ma, al contrario, evidenziano le incongruenze storico-filologiche del De bello et interitu marchionis Oristanei; le ombre permangono e molte ipotesi restano semplicemente tali.
Chi era Proto Arca Sardo? Non lo sappiamo (ancora?). “Questi i soli dati ragionevolmente deducibili: a) probabile nazionalità sarda; b) stato ecclesiastico; c) lingua colta comunemente parlata spagnolo; d) discreta pratica con il latino; e) scarsa conoscenza dell’argomento dell’opera”. Maria Teresa Laneri ci dice piuttosto, documenti alla mano, chi plausibilmente non era.
Non era il gesuita bittese Giovanni Arca, il cui Naturalis et moralis historia de regno Sardiniae riporta nel VI libro, nonostante continui e talvolta infelici tentativi di affrancamento, una banale riscrittura del De bello. Inoltre non era semplicemente uno spregiudicato e consapevole manipolatore delle fonti, “[…] non si tratta, in questo caso, di una forma di disinvoltura nell’approccio al dato documentale né di mera cupiditas coniectandi, ma di un fenomeno assai più complesso, alla cui origine si colloca un’oggettiva incompatibilità di fondo fra l’obiettivo che si pone l’autore – quello cioè d’apologizzare la figura di Leonardo de Alagòn – e la posizione ideologica delle sue fonti, tutte di matrice filoaragonese”. Ovvero le fonti del potere, lo stesso potere che determinò nel 1478, con la battaglia di Macomer e la conseguente sconfitta del “principe sardo”, la fine dell’ultima testimonianza dell’antica indipendenza. Proto Arca ha selezionato il materiale storico, epurato, interpolato, integrato, spesso stravolto; sembra ragionevole però, avverte la Laneri, considerare che la faziosità dell’autore fosse, per così dire, complementare, “sotto il profilo ideologico e sentimentale, all’orizzonte d’attesa dei Sardi”, all’ansia di conoscenza della “loro” verità che egli immaginava pervadere l’intera isola. Sembra ragionevole non escludere che, in buona fede, Proto Arca possa avere storicizzato, confortato dalle fonti, talune tradizioni orali sulle gesta di don Leonardo o semplicemente essere stato tradito da superficialità e imperizia storico-linguistica.
Sembra, cioè, “più ragionevole usare una certa cautela, prima che un giudizio troppo netto, oltre tutto formulato sulla sola base dei nudi dati testuali, finisca col rappresentare solo il frutto di un nostro errore di prospettiva”.

 
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